I consigli del dottore

Roma-Barcellona a casa di uno psicologo

Foto presa da Il Primato Nazionale
10 minuti di ritardo. Penso “Vabbè, ma tanto dove andiamo” (auto-svalutazione). Poi il messaggio su whatsapp: “Amò ma dove sei stiamo già a vince” . E si scappa di corsa a casa (senso di colpa).

La cena è già a tavola, focaccia con scarola, deliziosa, o almeno credo. Perchè la verità è che con la tensione della partita non mi accorgo nemmeno di quello che ho mangiato (agito dell’ansia sul cibo). Da qui in poi la memoria diventa sogno, nel senso che è difficile ricostruire tutto, dargli una storia completa.

Ricordo Florenzi che scende sulla fascia destra e manda un pallonetto in area dove scatta Nainggolan, e penso “Salta!” e un po’ mi alzo dal divano pure io (immedesimazione), ma lui no, non salta, mi amareggio (disillusione), poco importa che probabilmente nessuno poteva arrivare a quel pallone.

Ricordo Shick che si mangia un gol e scatto in piedi, urlando il mio disappunto (delusione, agito). Replico il tutto qualche minuto dopo con Dzeko. Inizia una catena di pensieri particolare che manco Joyce: se penso che quando è venuto dal city tutti gli andavano contro, ah ma io lo avevo capito che era un campione, lo aveva portato Pjanic, il traditore, come quell’altro, Benatia… grande difensore quando c’era Garcia… ah, Garcia, il 7-1 col Bayern, altra gran bella giornata quella, il panico per arrivare allo stadio, quando ancora si poteva parcheggiare vicino… chissà se ho chiuso bene la portiera dell’auto…oh ma non è che a giocare così aperti questi ci fanno fare un’altra brutta figura a casa nostra? forse dovevamo andare allo stadio, ma in 3 ore manco avevo trovato parcheggio a roma e gia i bigleitti erano finiti – certo sul divano non  e’ la stessa RIGORE.

A quel punto la parte di me che ancora seguiva la partita (multitasking) si alza ed inizia ad imprecare “Stavolta ce lo devi dare! ce lo devi dare!”, come se l’arbitro potesse sentirmi (pseudo-delirio) e poi accade che l’arbitro il rigore lo da davvero.

Oddio.

Il panico. Io e mia moglie ci alziamo insieme, in piedi, in posti diversi. Pochissima testa e tutta paura. oddio, rigore contro il Barcellona! oddio e se lo sbagliamo? chi lo tira? dov’è il capitano, anzi il Capitano? (panico). C’è una sola soluzine. “Non posso guardare”, e mi giro. e non guardo davvero (rituale ansiolitico).

(Agito verbale e perdita di controllo)

mi rialzo da terra con la gola rauca. ah! AH! Visto? mica può sempre andare tutto male (speranza). Vi credevate tanto forti e coatti e invece state a rischià! (identificazione proiettiva). Che poi sono antipatici, ma siamo più noi a buttarci giù, a lamentarci… (insight). A proposito di lamentele , chissà se il mio vicino si lametnerà del rumore che stiamo facendo… è pure laziale, sai quanto gli dà fastidio? capace che ora bussa pure. Ti pare che non sta sul suo bel trespolo a gufare? oddio, ma come posso pensare ai laziali in un momento come questo? (masochismo).

Fine primo tempo, lamentele sul fatto che non danno recupero. E ti pareva, sempre a favorirli (paranoia). Un attimo di pausa.

Si riprende con sentimenti misti: è lecito sperare, esaltarsi? Da un lato si, perchè no? dall’altro troppe delusioni, troppi mai una gioia, eppure la voglia di gioire tutti insieme c’è. contemporaneametne alla paura di soffrire (ambivalenza). E si ricomincia. Loro, gli ispanici, si sono messi paura. Chiamarli spagnoli quando il loro capitano e bandiera è argentino e la loro città il simbolo del non-voglio-far-parte-della-Spagna-nemmeno-a-calcio mi sembra veramente eccessivo. eccolo il malefico, Allison fa una magia (idealizzazione) che veramente ti metti paura a pensare che il sostituto è Skorupski (svalutazione). Maledetto Messi, ma che ti pensavi di fare? partono una serie di improperi come se il calciatore argentino fosse colpevole di qualcosa di più del fare il suo lavoro. Ma in quel momento c’è solo odio, lui è il nemico, da sconfiggee, a cui augurargil ogni male (scissione negativa).

Poi ipotizzo ci siano state tante altre cose, ma diventa tutto insignificante di fronte al gesto definitivo, al momento clou, quello che ti descrive in una scena tutto il sogno. Lui, il titano greco, insacca e poi non c’è altro (estasi).

L’impresa è fatta, ci sono i minuti di recupero con il cuore in gola, compattati a testuggine pure noi a casa (spirito di gruppo). E alla fine il triplice fischio. Vittoria, impensabile. Mia moglie in lacrime, c’è un solo motto adesso: “Finalmente ‘na gioia“.

E’ il giorno dopo che mi accorgo di esserci ricascatoin pieno. Già pianifichiamo piani di battaglia per fare la fila per la semifinale, ci mangiamo le mani per aver scelto questo come l’anno in cui vabbè, con lo stadio abbiamo dato. (rimorso) . Dieci anni di Luis Enrique, 26 maggio, tiki taka, il 7-1 col Bayern ma anche gli umilianti 3 a 1 con l’Atalanta, tutto va nel dimenticatoio, si vabbè lo sappiamo ma andiamo avanti, perchè ci siamo solo illusi che fosse finita.

Ma la verità è che non supereremo mai questa fase.

(amore).